“The End” di Joshua Oppenheimer, un viaggio nella mente umana

“The End”, il nuovo film di Joshua Oppenheimer, è un’opera profondamente emotiva, visivamente raffinata e concettualmente ambiziosa. Con un cast d’eccellenza composto da Tilda Swinton, Michael Shannon, George MacKay e Moses Ingram, il film ci porta in un mondo post-apocalittico, dove il tempo sembra sospeso e le emozioni restano soffocate sotto il peso dell’illusione.

GUARDA ANCHE: “Presence”: un viaggio tra paura, famiglia e invisibilità

Il regista, noto per i suoi documentari premiati e sconvolgenti, debutta nel cinema di finzione con una pellicola che non ha paura di essere scomoda, lenta e volutamente distaccata. Un film che interroga lo spettatore più che raccontargli una storia.

Un dramma post-apocalittico tra finzione e verità

“The End” è un film drammatico con elementi distopici e teatrali, ambientato in un futuro indefinito in cui l’umanità sembra ormai estinta. L’azione si svolge in un rifugio sotterraneo, arredato come una casa elegante, dove i personaggi vivono come se nulla fosse accaduto.

Il film lascia emergere emozioni contrastanti nello spettatore poiché affronta temi molto pesanti e profondi. La narrazione mette in evidenza un fattore che accomuna tutti gli esseri umani: la paura del cambiamento.

I protagonisti mentono a sé stessi sui propri sentimenti, si raccontano una storia rassicurante, si convincono di essere felici e soddisfatti, quando in realtà vivono una finzione quotidiana. È questo autoinganno a tenere in piedi il loro mondo, fragile ma ordinato. La speranza che mostrano è finta, l’ottimismo è costruito. Le loro scelte non vengono mai messe in discussione perché temono di affrontare le conseguenze.

L’egoismo umano e l’illusione dell’autosufficienza nel film “The End”

Il film “The End” è anche una potente riflessione sull’egoismo dell’essere umano. I personaggi sono convinti di non aver bisogno di nessun altro, credono che basti loro la propria compagnia e l’equilibrio che hanno costruito. Ma questa sicurezza è solo apparente.

Quando una nuova figura irrompe nel loro mondo — una giovane donna proveniente dall’esterno — tutto viene messo in discussione. L’atteggiamento della famiglia verso di lei è emblematico: diffidenza, paura, rifiuto. Non perché la ragazza rappresenti una minaccia concreta, ma perché è l’incarnazione dell’ignoto. Accettarla significherebbe mettere in discussione ogni convinzione, ogni certezza, ogni equilibrio finto ma rassicurante.

Courtesy: NEON
Courtesy: NEON

Le emozioni più autentiche emergono attraverso il canto

Un elemento narrativo molto forte del film è rappresentato dalla musica. Nonostante i protagonisti fingano e nascondano le loro emozioni nella maggior parte del tempo, quando cantano, le loro emozioni vere si manifestano. È nei momenti musicali che si capisce davvero ciò che provano: rabbia, nostalgia, amore, paura.

La scelta di inserire brani cantati in una narrazione tanto statica può sembrare audace, ma risulta efficace proprio perché rompe la monotonia, spalanca brecce nel silenzio emotivo e dà voce a ciò che resta nascosto.

Courtesy: NEON
Courtesy: NEON

Un’ambientazione costruita in modo impeccabile

Uno degli aspetti più riusciti di “The End” è senza dubbio l’ambientazione. Il bunker sotterraneo è costruito con una cura maniacale: pavimenti lucidi, arredi di design, luci calde ma artificiali, spazi chiusi e soffocanti. Questo rifugio elegante diventa una metafora perfetta della prigione mentale in cui vivono i personaggi. Un luogo protetto ma innaturale, in cui ogni dettaglio è pensato per fingere normalità e sicurezza, ma che trasmette solo isolamento e rigidità.

La regia di Oppenheimer sfrutta questi spazi per costruire una tensione psicologica crescente, silenziosa ma inesorabile.

“The End”: un film potente ma molto lento

Pur riconoscendo la bellezza visiva e la forza concettuale di questo film, è doveroso sottolineare che “The End” è un film molto lento. La narrazione è dilatata, i dialoghi sono misurati, le scene si susseguono con un ritmo rarefatto. Questo rende l’opera difficile da seguire con continuità: non è semplice mantenere la concentrazione.

Courtesy: NEON
Courtesy: NEON

Chi si aspetta colpi di scena, azione o emozioni esplicite rischia di restare deluso. Ma per chi è disposto ad accettare questa lentezza come parte integrante del viaggio, il film può rivelarsi una profonda esperienza emotiva e filosofica.

Consiglieremmo il film “The End” a un amico?

Sì, lo consiglieremmo. Ma solo a chi ama il cinema d’autore, riflessivo, impegnativo. È un film che richiede pazienza e disponibilità all’introspezione. Non cerca di intrattenere, ma di far pensare. È più vicino a un’opera teatrale o a una lunga poesia visiva che a un classico racconto cinematografico.

Lo consiglieremmo a un amico che ha voglia di riflettere, di mettersi in discussione, di guardare dentro sé stesso attraverso lo sguardo altrui. Perché “The End” non parla della fine del mondo, ma della fine dell’illusione. E, forse, dell’inizio di qualcosa di nuovo.