Dopo la tempesta che ha devastato milioni di alberi nelle Dolomiti, Federico Stefani ha scelto di non limitarsi al racconto del disastro. Ha trasformato quella ferita in un’idea concreta, fondando VAIA: un progetto imprenditoriale e sociale che fonde artigianalità, tecnologia, sostenibilità e visione olistica del futuro.

In questa intervista, ci racconta come un oggetto possa diventare simbolo di rinascita e veicolo di un nuovo rapporto tra uomo e natura.

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Intervista a Federico Stefani co-founder di VAIA

Come nasce VAIA e cosa vi ha spinto a trasformare una catastrofe naturale in un progetto imprenditoriale? L’idea è nata dal desiderio profondo di allineare i miei valori con il lavoro quotidiano, dalla mattina alla sera. Ho sempre avuto un legame forte con la natura e con il territorio, e dopo esperienze vissute in tutto il mondo, ho sentito l’esigenza di riconnettere la tecnologia alla natura. Ci siamo chiesti: perché non usare tutta la materia prima a disposizione per costruire un modello ispirazionale che unisca filiere locali, upcycling e rigenerazione dei territori? VAIA è nata così: dalla convinzione che ognuno, con la propria creatività e diversità, possa contribuire a un sistema rigenerativo. I nostri oggetti non sono solo prodotti, sono modelli che possono ispirare persone e aziende a vivere in modo più consapevole.

Come siete riusciti a coinvolgere le comunità locali in un progetto così innovativo? Spesso immaginiamo la modernità come sinonimo di lusso e design estremo, dimenticandoci delle relazioni autentiche che esistono nelle piccole comunità. Io credo che sia un errore separare questi mondi: possiamo prendere il meglio di entrambi. VAIA vuole essere un ponte tra le radici del passato e le esigenze del presente. All’inizio eravamo percepiti come qualcosa di locale e quasi folkloristico, ma poi, con il tempo, le persone hanno colto la nostra determinazione. Abbiamo costruito legami con oltre 15 artigiani, 21 comunità locali e una community di 150.000 persone. Il nostro approccio unisce davvero il locale al globale, e viceversa.

Il vostro oggetto più iconico, il cubo VAIA, trasmette molto anche a livello simbolico. Che ruolo ha il design nel vostro progetto? Per me il design deve essere azione. La bellezza ci attrae, certo, ma ogni oggetto dovrebbe avere un significato, un motivo profondo dietro la sua esistenza. Il design che mi interessa è quello che crea relazioni — tra persone, tra uomo e natura. Amo parlare di “design d’azione”, un po’ come accade nell’arte povera: limitata nei mezzi ma potente nel messaggio. Il limite, se ben interpretato, può diventare una forza creativa. Gli oggetti che creiamo rispecchiano la nostra visione del mondo e della relazione con l’altro: non sono usa e getta, ma radicati come gli alberi, con chiome che guardano in alto.

Come riuscite a coniugare artigianalità, innovazione e sostenibilità nei vostri processi produttivi? Nessuno è un’isola. Per questo abbiamo costruito un ecosistema in dialogo: università, artigiani, ricercatori, agricoltori, enti pubblici. Un’azienda può fare profitto e allo stesso tempo contribuire a un modello rigenerativo. La sostenibilità, per noi, è un punto di partenza, non un’etichetta. Non si acquista un nostro oggetto perché è sostenibile, ma perché rispecchia un certo modo di vivere. VAIA ha una personalità: è curiosa, sperimenta, mette insieme mondi diversi. Certo, è più difficile che fare una sola cosa, ma è questo che ci distingue. Il prodotto è l’ambasciatore di tutto ciò: deve emozionare, raccontare, lasciare un segno.

Che consiglio daresti a chi vuole seguire un percorso simile al vostro, ma teme le difficoltà? Se non fai, non sbagli. Ma neanche cresci. Siamo i primi, in un certo senso, a integrare in modo coerente psyche, filiera e restituzione. Non perché vogliamo sentirci migliori, ma perché ci sentiamo chiamati a interpretare il presente attraverso le nostre corde. Altri fanno cose bellissime, come Veja o Tridon. Ma il nostro approccio è unico: artistico, sistemico, profondamente umano.

Guardando al futuro, quali sono le nuove direzioni per VAIA? Il modello rigenerativo resta il nostro pilastro. Oggi operiamo sulle Dolomiti, ma stiamo già lavorando in Puglia sul recupero degli ulivi colpiti da Xylella — 20 milioni di alberi morti che vogliamo trasformare in nuova vita, insieme alle comunità locali. Stiamo anche pensando ad altri luoghi, altre materie prime, nuovi prodotti per le persone e per le aziende. VAIA continuerà a crescere come piattaforma rigenerativa, capace di ispirare e innovare con radici profonde e visione alta.