Il famosissimo artista cinese Liu Bolin, noto per le sue performance durante le quali riesce a mimetizzarsi perfettamente con lo sfondo grazie ad un meticoloso bodypainting, è in mostra fino al 15 settembre nello spazio MUDEC PHOTO.
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Per lo spazio è la seconda mostra fotografica – dopo la sua apertura con la mostra fotografica di Steve McCurry – e l’artista cinese ha scelto di raccontare la propria arte in prima persona attraverso delle performance create appositamente per lo spazio. In rassegna saranno presenti circa cinquanta opere dell’artista, tra cui un inedito della Pietà Rondanini scattato al Castello Sforzesco di Milano.
La poetica di Liu Bolin del nascondersi per diventare cosa tra le cose ci fa percepire come tutti i luoghi e gli oggetti abbiano un’anima, nella quale è possibile mimetizzarsi e svanire, identificandosi nel Tutto.
Attraverso le sue opere l’artista cerca di sviscerare le contraddizioni dell’uomo contemporaneo e di indagare nel profondo il rapporto tra la civiltà creata dall’uomo e l’uomo stesso.
Le fotografie che possiamo raggruppare in serie fanno parte della serie Hiding in the City: Liu Bolin esplora la ribellione nei confronti delle autorità, che nel 2005 stavano demolendo il suo studio nel Suojia Arts Camp per far spazio al progresso e al nuovo che avanza, distruggendo però tutto il mondo alle spalle dell’artista, e quindi anche la tradizione e l’identità di un popolo.
La sua ricerca artistica prosegue con la serie Hiding in the rest of the World: un’indagine sulla sua vita e sui punti in comune con le vite degli altri, i temi sociali che racchiudono i luoghi da lui visitati e l’impatto del proprio messaggio artistico sulla società. Individuare lo spazio giusto diventa, per l’artista, condizione fondamentale per esprimere la sua poetica.
Nella serie Hiding in Italy (2008-2019) all’importanza del luogo, si aggiunge l’attenzione al confronto tra la visione della cultura orientale e quella occidentale, dove Cina e Italia rappresentano per l’artista le due culle della cultura rispettivamente asiatica ed europea.
In mostra sono esposte anche le fotografie della serie Shelves: di fronte a lunghe distese di scaffali di supermercati, colmi di beni di largo consumo, luoghi banali e tipici della nostra quotidianità, l’artista scompare facendo riflettere il fruitore sul labile confine tra prodotto e consumatore.
Tra le fotografie più celebri esposte, anche la serie Migrants nella quale l’artista ha coinvolto altri performers, ovvero dei rifugiati ospiti di alcuni centri d’accoglienza in Sicilia. Il suo messaggio è chiaro: si assiste alla spersonalizzazione dell’io e di un popolo, che non ha più un’identità o un volto, se non quello della disperazione umana e della denuncia sociale.
Una mostra che fa assolutamente riflettere e che mette in discussione il vero significato di ‘presenza’. Da vedere con attenzione!
Foto: 24 Ore Cultura – Gruppo 24 Ore