La corsa è la cosa più naturale del mondo. Siamo nati per correre. Tu la strada, i tuoi pensieri.
Beh non è sempre cosi, anzi, correre è orribile, innaturale, inutile, doloroso. Ti fa mancare il fiato, ti causa crisi di vomito se tiri troppo, ti fa venire mal di testa se non ti idrati a dovere, ti massacra i piedi.
La cosa peggiore è che più migliori, più diventa difficile. E tu ti trasformi in un mostro competitivo-dipendente da tabelle, tempi, cronometro, piazzamento.
Manca poco meno di una settimana alla Maratona di Milano e sebbene sia più che sicura della mia preparazione fisica che sto portando avanti ormai dal mese di dicembre, sono ufficialmente in panico, comincio ad essere nervosa, ansiosa, assalita da mille dubbi e mille domande, mille ricordi.
In primis, il tempo. Che tempo farà domenica? Ultimamente la primavera ha fatto il suo arrivo in maniera prepotente e decisamente anticipato. Non mi piace correre con il caldo, soffro e fatico il doppio. Inoltre, correre una intera maratona nelle ore più calde non è il massimo, bisogna porre maggiore attenzione alla disidratazione, reintegrare in maniera costante acqua e sali minerali che si perdono durante l’attività di fisica. Troverò acqua e sali a sufficienza durante il percorso? Come reagirà il mio fisico al caldo?
Mille dubbi e mille domande sull’ignoto, su quella che sarà la mia seconda maratona. Su New York, se proprio devo essere sincera mai avuto dubbi sull’organizzazione e sul supporto durante il percorso, ma su Milano… Non so. Vedremo. Milano è la mia città, una città che amo per i suoi pregi e per i suoi mille difetti, e proprio per questo amore incondizionato che ho scelto di correre qui la mia seconda maratona.
Altra incertezza è l’abbigliamento: in questo periodo di caldo/freddo in cui già non si sa come vestirsi per andare in ufficio, o a fare shopping, figuriamoci per una maratona. Che poi, non è solo durante la corsa, ma le ore prima, l’attesa, e il dopo. Le previsioni sono contrastanti e ancora non definitive al 100%, si passa dai 18 gradi e sole, alla pioggia che fa ripiombare la temperatura a livelli quasi autunnali.
Canotta? Troppo. Maglia mezze maniche? Magari mi porto i manicotti cosi se ho caldo durante la gara li posso arrotolare ai polsi, viceversa se ho freddo. Pantaloni corti o trequarti? Se poi ho troppo caldo che faccio? Non posso mica arrotolarli, rischierei di sembrare un cotechino insaccato per il pranzo di Natale, oltre a fermare la circolazione alla gambe. Figuriamoci.
Il manuale del perfetto Runner dice che l’abbigliamento in gara deve essere quello di 10 gradi maggiore rispetto alla temperatura esterna. Bene, quindi? Approfitto dei tre giorni di pausa Pasquale per tirare fuori tutto il mio abbigliamento da runner e decidere almeno per un paio di outfit per il giorno della gara. Poi vedremo. Si vede che lavorare come PR nel fashion mi ha mentalmente deviato eh!
E se piovesse? Magari. Amo correre sotto la pioggia. Noioso all’inizio, ma quando ormai sei bagnata fradicia, arriva il momento in cui non ti importa un bel niente della pioggia che cade, ti concentri sui tuoi passi, sull’appoggio del piede e sui kilometri che macini senza quasi percepire fatica e sudore.
42 kilometri sono tanti, a tratti infiniti, faticosi e qui a Milano non ci saranno i cartelli con le miglia a segnare il mio percorso e ad ingannare la testa, qui dal 1° al 42° saranno ben scanditi e ben visibili alla testa, al cuore e alle mie gambe. Ci sarà del lavoro da fare.
La seconda volta che ho partecipato alla staffetta proprio in occasione della Milano Marathon, correvo da poco più di un anno e mezzo e mentre aspettavo il mio compagno di squadra a darmi il cambio, che in quell’edizione era in Via Vittor Pisani, vedevo sfrecciare accanto agli staffettisti, i maratoneti. Li guardavo con ammirazione e con il cuore che batteva per l’emozione, mi sembravano marziani, cosi fieri nei loro passi, concentrati, sguardo fisso in avanti, verso l’obiettivo, alcuni con il sorriso altri con una smorfia di sofferenza, li guardavo e pensavo: “ Io non ce la farò mai a correre una intera maratona…”.
Già i miei 10 kilometri mi sembravano una conquista, la prima volta che ho tagliato il traguardo ho chiamato la mia mamma al telefono in lacrime: “mamma ce l’ho fatta, ho corso 10 kilometri…non mi sembra vero!”.
Domenica prossima sarò anche io nella corsia dei Maratoneti. Strana la vita, strana “droga” la corsa, che sicuramente ti migliora il fisico ma soprattutto ti cattura la mente. E quando succede, non è più solo una questione di sport, diventa un approccio di/alla vita.
Le gambe snelle e muscolose, la gioia di poter mangiare una ciambella o bere una birra in più davanti alla TV, alla lunga possono venirti a noia, ma la prontezza mentale, quella no. Il vero bonus che la corsa regala è la capacità di superare momenti di collera, di fatica, di attimi di scoraggiamento, che una volta accettati per quello che sono, cominci a realizzare che tutto è possibile e ti senti invincibile.
Una bella corsa, anche quando non avresti nessuna voglia di uscire di casa, aiuta come per magia, senza nemmeno capire perché, a risolvere un problema spinoso che ti assilla da tempo, un blocco, un dubbio che ti porti avanti da giorni. Oppure semplicemente capita di provare emozioni profonde che non credevi capace di provare. E così da una 10 kilometri, si passa ad una mezza maratona di 21 kilometri e qualche metro, fino alla grande sfida, LA maratona di 42 kilometri e 195 metri. Ci sono anche le ultra maratone e il Passatore con i suoi 100 kilometri, ma questo è un altro capitolo.
Posso solo dire che se prima 100 kilometri mi sembravano una assurdità, pura follia, ora non dico che sembrano fattibili, ma quasi.
E’ tutta una questione di gambe, di preparazione fisica, e di testa. Quando provi quella fantastica sensazione che ho provato io a New York lo scorso novembre, di correre in un mare di lacrime tra migliaia di persone, impari una lezione che ti servirà per tutta la vita. Per sopravvivere basta continuare ad andare avanti e non mollare mai.
Ora sono pronta a conquistare Milano.